Siamo stati educati alla pianificazione. Le business school e i migliori professionisti ci hanno insegnato la virtù di un piano ben ideato e svolto con diligenza. La previsione e il controllo sul nostro progetto sono al centro della capacità di eseguire in modo accurato le nostre attività. La gestione attenta di risorse e tempi ci garantisce la realizzazione dei nostri intenti e ci conduce quindi al successo.
Le strutture organizzative sono nate e cresciute così con l’obiettivo dell’efficienza e del corretto utilizzo delle risorse. Le relazioni tra le persone impiegate nei team progettuali sono state costruite negli stessi termini. Un piano d’azione più o meno condiviso che guida i confronti quotidiani e i focus di medio e lungo periodo del lavoro in squadra.
Eppure sembra che questo non sia (più) il modo migliore per plasmare le nostre aziende. Emerge oggi, in conseguenza delle esperienze legate all’approccio snello al business (Lean Thinking) e ai contesti di innovazione digitale delle startup californiane, una visione diversa. Questa visione spinge a dare alla pianificazione un nuovo ruolo e nuovi strumenti. Di fronte all’enorme potenzialità di azioni e progetti che le nuove tecnologie ci permettono, la domanda da farsi quando si pianifica un’innovazione non è se essa “possa” essere realizzata, ma se lo “debba”. E questo determina un profondo cambiamento nelle relazioni tra le persone e nel modo in cui organizzare il lavoro.
I contenuti che hanno storicamente contraddistinto l’approccio del Lean Thinking al management hanno recentemente visto un’importante evoluzione. La Lean può oggi spingersi oltre l’ottimizzazione delle attività e dei processi aziendali. Oggi chi lavora sui modelli aziendali, dall’efficienza del “far bene le cose”, può e deve orientarsi alla meno esplorata efficacia del “far le cose giuste”. I princìpi alla base del Lean Thinking possono affrontare l’intera strategia di business di un’impresa in forma nuova.
Le applicazioni del Lean Thinking si sono concentrate fino a poco tempo fa sul miglioramento continuo (Kaizen) dei processi, sulla riduzione degli sprechi, sulla costruzione di linee di produzione tirate dalla domanda di mercato (Pull), sull’attivazione di cicli di innovazione bottom-up e così via. Anche l’Agile Planning, approccio alla pianificazione del business proveniente dal mondo software, ha prevalentemente prodotto logiche di Project Management e collaborazione applicate ai processi operativi aziendali. Pur con una fortissima spinta culturale a mettere al centro il cliente, siamo rimasti nell’ambito dell’efficienza della macchina.
Oggi però serve di più capire se quella macchina, per quanto ancora non completamente dotata di tutti gli optional, stia andando dalla parte giusta. Serve parlare di strategia e Business Model, cioè appunto di efficacia prima ancora che di efficienza. Bisogna smontare la macchina e ricostruirla dopo aver capito se si va in montagna o nel deserto, in una collinosa campagna o nel traffico di una grande metropoli.
La domanda che ci si deve porre è se sia possibile applicare le logiche snelle e agili non solo ai processi, ma alla pianificazione del cambiamento del Business Model aziendale. La risposta a questa domanda è affermativa. Esiste una piattaforma metodologica che parte dalle analisi di alcuni autori e da una ricca letteratura che si è sviluppata negli ultimi anni: The Lean Startup, Scaling Lean, Running Lean, Lean Analytics, Monetizing Innovation e altri testi ci hanno raccontato di un modo diverso di vedere le cose. Bisogna però dare a Steve Blank il titolo di iniziatore di questo movimento che ha visto in Eric Ries, Alex Osterwalder e Ash Maurya i più interessanti prosecutori.
Per accogliere appieno questa lezione serve tuttavia comprendere i limiti di applicazione dei tradizionali strumenti manageriali. Uno di questi è indubbiamente il Business Plan, che costituisce il vertice degli insegnamenti per il manager che affronta l’ideazione e il lancio di un nuovo business. Questo è l’obiettivo del mio libro che delinea una strada alternativa, almeno nelle fasi iniziali del nostro progetto di business.
Per evitare fraintendimenti, il Business Plan risulta uno strumento molto utile in una fase matura dell’idea di business, ma inizialmente rischia di non costituire l’approccio ideale per chi debba affrontare un processo di innovazione. Il rischio principale, che affronterò nel libro, è quello di fossilizzare le capacità di esplorazione dell’innovatore. Fissare paletti prima ancora di essere entrati in contatto con il mercato è molto rischioso. In questa fase di profonda incertezza, l’apprendimento veloce e focalizzato deve prevalere sulla buona esecuzione di un piano.
Lungi dal pensare che il Business Plan sia uno strumento da accantonare, il risultato è stato un approccio critico originale. Se da una parte esso ridimensiona la portata del suo utilizzo, dall’altro propone approcci e soluzioni alternative da utilizzare in particolari fasi del processo di sviluppo di un business. Si tratta di quelle fasi iniziali in cui l’incertezza e la limitazione delle risorse prevale sulla possibilità di curare nel dettaglio ogni aspetto del progetto.
Centro di questo libro sono le ripercussioni organizzative di un modo di pianificare l’innovazione più snello e iterativo. Le strutture che caratterizzano le nostre aziende sono improntate a una logica esecutiva ben progettata e a una spinta verso l’efficienza della macchina. Per non rinunciare a queste caratteristiche, ma allo stesso tempo adottare una cultura più tesa all’esplorazione del nuovo, serve trovare un approccio alla collaborazione più adeguato. Ho ritrovato questa cultura nell’esempio del mondo artigiano, in quello magistralmente descritto da Richard Sennett, e ho verificato nell’ultima parte del libro la possibilità di adottare i rituali caratterizzanti il processo di crescita del mondo produttivo nell’ambito dell’organizzazione aziendale votata all’innovazione.
Nel testo ho fatto tesoro di molta esperienza personale presso aziende consolidate e startup, piccoli artigiani e grandi organizzazioni. Ma ancor più ho potuto inserire l’esito di un confronto attento con professionisti e manager, imprenditori e studiosi.