Rituali organizzativi e approcci lean all’innovazione

Copertina libro La Trappola del Business Plan

È diffusa, tra imprenditori, professionisti e manager, l’idea che l’obiettivo di un’azienda sia eseguire un buon piano di business. Studiare il contesto, definire azioni dettagliate da portare avanti in maniera efficiente sta alla base della cultura del Business Plan. Eppure non in tutte le situazioni questa attenzione al “fare le cose bene” si dimostra utile e vantaggiosa. Quando un professionista deve affrontare un cambiamento o esplorare nuovi percorsi di innovazione, come quelli che ci pongono davanti Industria 4.0 e Digital Transformation, un Business Plan ben fatto può essere la premessa del fallimento.

Serve, nell’attività manageriale, un orientamento diverso, dubitativo, sperimentale e aperto alla scoperta. Esistono oggi approcci metodologici consolidati per costruire un piano che funzioni. Le lezioni del Lean Startup e del Design Thinking ci danno strumenti e metodi da inserire in una cultura collaborativa nuova che riscopra rituali e tecniche del laboratorio artigiano rinunciando provvisoriamente alla rigida tensione verso l’efficienza del contesto industriale. “La trappola del business plan” analizza, attraverso numerosi riferimenti a progetti reali e confronti con innovatori e professionisti, i limiti della pianificazione tradizionale.


La prima parte evidenzia la cultura che sta alla base della pianificazione snella. Mostra come startup e innovatori abbiamo ribaltato l’approccio tradizionale allo sviluppo di prodotti e servizi. La seconda fornisce un percorso strutturato in termini metodologici per sviluppare nuove idee e portarle con successo sul mercato. La terza infine dà i riferimenti per costruire l’organizzazione migliore per affrontare progetti innovativi. In particolare analizzando la cultura manifatturiera e i rituali collaborativi permessi da tecniche Agile e Lean.

Senza negare l’importanza del Business Plan, questo libro costruisce, per manager e imprenditori alla ricerca di percorsi innovativi nel proprio business, una lettura originale delle condizioni utili all’esplorazione di nuove soluzioni in mercati incerti. Fornisce in questo modo una guida e un orientamento per sviluppare una cultura agile e snella nelle situazioni di più profondo cambiamento.

Prefazione (Stefano Micelli)

La trappola del Business Plan

Da tempo ci si interroga su cosa significa gestire un’impresa in un mondo sempre più digitale e interconnesso. Siamo sempre più consapevoli che in un’economia dominata dalla rete, la capacità di interagire in tempo reale costituisce un requisito necessario per dialogare con il consumatore e, più in generale, con l’insieme degli interlocutori che compongono il sistema del valore di un’impresa. Allo stesso tempo, osservatori attenti hanno messo a fuoco l’importanza di sviluppare una cultura organizzativa stabile capace di produrre nel tempo comportamenti innovativi. Solo culture consolidate sono in grado di promuovere apprendimento e innovazione e di tradurre la conoscenza in valore economico. Queste culture non si sviluppano alla velocità della rete ma si consolidano attraverso una lunga sedimentazione di consuetudini, competenze e artefatti la cui mescola richiede disciplina e perseveranza. In pochi si sono interrogati su come mettere insieme questi due piani apparentemente contraddittori. Sappiamo ancora poco su come gestire la convivenza fra un mondo che chiede, per un verso, reazioni in tempo reale e, per altro, resilienza e perseveranza orientate al lungo termine. Il merito del libro di Stefano Schiavo è quello di avere inquadrato queste due diverse prospettive con l’obiettivo di identificare nuove linee guida per management al passo con i tempi. Alcuni ingredienti sono noti: l’attenzione alla riduzione degli sprechi (lean management), una cultura orientata alla sperimentazione continua, un’accettazione consapevole degli errori. L’originalità del libro di Schiavo è quella di aver provato a sistemare questi e altri spunti in uno sforzo che prova ad essere organico e coerente. Il volume sintetizza incontri e conversazioni con tante realtà d’impresa che in questi anni hanno saputo crescere e prosperare proprio grazie alla convivenza più o meno consapevole di piani di gestione apparentemente distinti. Il libro appare particolarmente interessante per quelle imprese che oggi provano a organizzare in modo originale il Made in Italy del futuro. Sono proprio le aziende italiane, in particolare quelle manifatturiere, che oggi più di altre hanno bisogno di nuovi riferimenti manageriali in grado di conciliare istanze potenzialmente contraddittorie. Queste imprese oggi hanno bisogno di indicazioni in grado di combinare una consolidata tradizione e del lavoro benfatto con un approccio alla cultura digitale che richiede interattività e velocità nelle risposte. Queste diverse esigenze possono mettere in crisi modelli consolidati se oscillano in modo eccessivo verso l’uno o l’altro estremo del pendolo. Il libro di Stefano Schiavo punta a definire regole che offrono alle imprese una bussola per rimanere fedeli a un’idea di qualità molto italiana e, allo stesso tempo, per parlare con una domanda sempre più internazionale e interconnessa. Uno dei meriti del volume è quello di parlare con eguale efficacia alla piccola così come alla media impresa. Entrambe sono chiamate ad affrontare sfide che richiedono soluzioni originali, in linea con un contesto competitivo fortemente trasformato e con una storia che reclama coerenza a rigore.

Introduzione

Siamo stati educati alla pianificazione. Le business school e i migliori professionisti ci hanno insegnato la virtù di un piano ben ideato e svolto con diligenza. La previsione e il controllo sul nostro progetto sono al centro della capacità di eseguire in modo accurato le nostre attività. La gestione attenta di risorse e tempi ci garantisce la realizzazione dei nostri intenti e ci conduce quindi al successo.

Le strutture organizzative sono nate e cresciute così con l’obiettivo dell’efficienza e del corretto utilizzo delle risorse. Le relazioni tra le persone impiegate nei team progettuali sono state costruite negli stessi termini. Un piano d’azione più o meno condiviso che guida i confronti quotidiani e i focus di medio e lungo periodo del lavoro in squadra.

Eppure sembra che questo non sia (più) il modo migliore per plasmare le nostre aziende. Emerge oggi, in conseguenza delle esperienze legate all’approccio snello al business (Lean Thinking) e ai contesti di innovazione digitale delle startup californiane, una visione diversa. Questa visione spinge a dare alla pianificazione un nuovo ruolo e nuovi strumenti. Di fronte all’enorme potenzialità di azioni e progetti che le nuove tecnologie ci permettono, la domanda da farsi quando si pianifica un’innovazione non è se essa “possa” essere realizzata, ma se lo “debba”. E questo determina un profondo cambiamento nelle relazioni tra le persone e nel modo in cui organizzare il lavoro.

I contenuti che hanno storicamente contraddistinto l’approccio del Lean Thinking al management hanno recentemente visto un’importante evoluzione. La Lean può oggi spingersi oltre l’ottimizzazione delle attività e dei processi aziendali. Oggi chi lavora sui modelli aziendali, dall’efficienza del “far bene le cose”, può e deve orientarsi alla meno esplorata efficacia del “far le cose giuste”. I princìpi alla base del Lean Thinking possono affrontare l’intera strategia di business di un’impresa in forma nuova.

Le applicazioni del Lean Thinking si sono concentrate fino a poco tempo fa sul miglioramento continuo (Kaizen) dei processi, sulla riduzione degli sprechi, sulla costruzione di linee di produzione tirate dalla domanda di mercato (Pull), sull’attivazione di cicli di innovazione bottom-up e così via. Anche l’Agile Planning, approccio alla pianificazione del business proveniente dal mondo software, ha prevalentemente prodotto logiche di Project Management e collaborazione applicate ai processi operativi aziendali. Pur con una fortissima spinta culturale a mettere al centro il cliente, siamo rimasti nell’ambito dell’efficienza della macchina.

Oggi però serve di più capire se quella macchina, per quanto ancora non completamente dotata di tutti gli optional, stia andando dalla parte giusta. Serve parlare di strategia e Business Model, cioè appunto di efficacia prima ancora che di efficienza. Bisogna smontare la macchina e ricostruirla dopo aver capito se si va in montagna o nel deserto, in una collinosa campagna o nel traffico di una grande metropoli.

La domanda che ci si deve porre è se sia possibile applicare le logiche snelle e agili non solo ai processi, ma alla pianificazione del cambiamento del Business Model aziendale. La risposta a questa domanda è affermativa. Esiste una piattaforma metodologica che parte dalle analisi di alcuni autori e da una ricca letteratura che si è sviluppata negli ultimi anni: The Lean Startup, Scaling Lean, Running Lean, Lean Analytics, Monetizing Innovation e altri testi ci hanno raccontato di un modo diverso di vedere le cose. Bisogna però dare a Steve Blank il titolo di iniziatore di questo movimento che ha visto in Eric Ries, Alex Osterwalder e Ash Maurya i più interessanti prosecutori.

Per accogliere appieno questa lezione serve tuttavia comprendere i limiti di applicazione dei tradizionali strumenti manageriali. Uno di questi è indubbiamente il Business Plan, che costituisce il vertice degli insegnamenti per il manager che affronta l’ideazione e il lancio di un nuovo business. Questo è l’obiettivo del mio libro che delinea una strada alternativa, almeno nelle fasi iniziali del nostro progetto di business.

Per evitare fraintendimenti, il Business Plan risulta uno strumento molto utile in una fase matura dell’idea di business, ma inizialmente rischia di non costituire l’approccio ideale per chi debba affrontare un processo di innovazione. Il rischio principale, che affronterò nel libro, è quello di fossilizzare le capacità di esplorazione dell’innovatore. Fissare paletti prima ancora di essere entrati in contatto con il mercato è molto rischioso. In questa fase di profonda incertezza, l’apprendimento veloce e focalizzato deve prevalere sulla buona esecuzione di un piano.

Lungi dal pensare che il Business Plan sia uno strumento da accantonare, il risultato è stato un approccio critico originale. Se da una parte esso ridimensiona la portata del suo utilizzo, dall’altro propone approcci e soluzioni alternative da utilizzare in particolari fasi del processo di sviluppo di un business. Si tratta di quelle fasi iniziali in cui l’incertezza e la limitazione delle risorse prevale sulla possibilità di curare nel dettaglio ogni aspetto del progetto.

Centro di questo libro sono le ripercussioni organizzative di un modo di pianificare l’innovazione più snello e iterativo. Le strutture che caratterizzano le nostre aziende sono improntate a una logica esecutiva ben progettata e a una spinta verso l’efficienza della macchina. Per non rinunciare a queste caratteristiche, ma allo stesso tempo adottare una cultura più tesa all’esplorazione del nuovo, serve trovare un approccio alla collaborazione più adeguato. Ho ritrovato questa cultura nell’esempio del mondo artigiano, in quello magistralmente descritto da Richard Sennett, e ho verificato nell’ultima parte del libro la possibilità di adottare i rituali caratterizzanti il processo di crescita del mondo produttivo nell’ambito dell’organizzazione aziendale votata all’innovazione.

Nel testo ho fatto tesoro di molta esperienza personale presso aziende consolidate e startup, piccoli artigiani e grandi organizzazioni. Ma ancor più ho potuto inserire l’esito di un confronto attento con professionisti e manager, imprenditori e studiosi.